giovedì, luglio 21, 2005

L'indecenza di chiamarla missione umanitaria..

[...] Sono circa 3.150 i soldati italiani impegnati in 'Antica Babilonia', la missione militare in Iraq che li vede impegnati al fianco ai militari degli Usa, del Regno Unito e di altri 23 Stati che compongono la 'Coalition of willings'. Il decreto legge approvato oggi alla Camera e che passa al Senato, autorizza la spesa, fino al 31 dicembre, di 19.222.168 euro (le nostre fatiche...le tasse che siamo costretti a pagare...ecco che fine fanno) per la prosecuzione della missione umanitaria di stabilizzazione e di ricostruzione in Iraq, al fine di fornire sostegno al governo provvisorio iracheno nella ricostruzione e nell'assistenza alla popolazione' [...]
da http://redazione.romaone.it/4Daction/Web_RubricaNuova?ID=67887&doc=si

Qui sotto le dichiarazioni di Selva di qualche mese fa:

Da Libero del 23 gennaio 2005.
Articolo di
Tommaso Montesano.

«Dobbiamo passare da forza di ingerenza umanitaria a forza combattente». Va subito al cuore del problema, Gustavo Selva, presidente della commissione Esteri della Camera (An). I tempi per cambiare lo status della missione militare italiana in Iraq, spiega, sono maturi. «Basta con l'ipocrisia dell'intervento umanitario: è ora di prendere atto che la natura dell'operazione "Antica Babilonia" è inadeguata alla realtà del terreno. Bisogna rafforzare il dispositivo militare utilizzando tutti gli uomini e i mezzi necessari».

Come?
«Attraverso un passaggio parlamentare che chieda l'applicazione dell'articolo 11 della Costituzione».

Ma non è quello che stabilisce che l'Italia ripudia la guerra?

«Certo, ma anche, leggo testualmente, che la ripudia come "strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". E che consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessaria per assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni". Proprio la situazione in cui si trova l'Italia in Iraq».

Spieghi meglio.

«A Nassiriya i nostri soldati non offendono la libertà di nessuno, anzi sono li su richiesta del legittimo governo iracheno; non comandano, visto che fanno parte di un'alleanza più vasta; sono impegnati, attraverso lo svolgimento delle elezioni, ad assicurare all'Iraq pace e giustizia».

Sempre di guerra si tratterebbe, però.

«Ma la guerra in Iraq c'è o non c'è? C'è. Ovvio. Ed è combattuta da un fronte internazionalista guidato da un fondamentalista islamico come Osama Bìn Laden. E contro chi sparano? Non solo contro gli americani, ma soprattutto contro i civili e i militari iracheni. Contro un sistema che vuole "pace e giustizia", appunto».

Il Quirinale come la prenderebbe?

«Il Colle sarebbe tenuto a rispettare la volontà del Parlamento. Spetta alle Camere, Costituzione alla mano, la deliberazione dello stato di guerra».

Torniamo ai mezzi inviati in Iraq. Gli elicotteri d'attacco "Mangusta" sono pronti. Non impiegarli, quindi, cuna scelta politica. Perché?

«La responsabilità politica parte da lontano. Abbiamo dovuto mascherare "Antica Babilonia" come operazione umanitaria perché altrimenti dal Colle non sarebbe mai arrivato il via libera».

Così a rimetterci sono stati i nostri soldati...

«Ricordo gli otto- dieci punti dell'ordine del giorno che autorizzavano la prima missione irachena. Erano pieni di "questo non è consentito"; "questo non si può fare", "quell'altro non è possibile". Così in Iraq addestriamo la polizia, aiutiamo i civili, teniamo libere le strade, ma, data la natura della missione, non possiamo fare altro. Limitazioni che poi si sono dimostrate decisive ai fini dell'obiettivo. Quello, ripeto, di stabilire pace e sicurezza».

Non c'è stato anche un errore di valutazione militare?

«Certo. Il Quirinale, ma anche il Parlamento, scelse di percorrere una strada che allora si pensava potesse essere sufficiente per garantire contemporaneamente la sicurezza e l'avvio della ricostruzione. Oggi, purtroppo, non abbiamo ottenuto né l'una, né l'altra».

Il rafforzamento militare deve essere finalizzato alla sola scadenza elettorale?

«No, anche dopo ci sarà bisogno di uomini e mezzi che sappiano garantire quella funzionalità e quella operatività di cui avrà bisogno la polizia irachena per riportare ordine e pace sul terreno».

Dall'opposizione contestano il fatto che, agli occhi della popolazione, gli elicotteri d'attacco Mangusta" potrebbero dare dell'Italia un'immagine guerresca…

«Devono dare la sensazione che l'Italia è sul posto per aiutare gli iracheni, ma non per essere rinchiusa in una sorta di Fort Alamo in attesa di difendersi».

l'Italia deve anche fare i conti con i pochi fondi destinati alla Difesa. Non è ora che l'Italia cominci a considerare le spese mili tari come una priorità?

«Il panorama mondiale è cambiato: c'è un a guerra del fondamentalismo islamico contro la quale oggi non abbiamo mezzi sufficienti da impiegare. L'intelligence da sola non basta quando i terroristi, come dimostra
l'esperienza irachena, si sono stabiliti sul terreno».

mercoledì, luglio 13, 2005

Siniscalco crede la recessione sia arrivata alla fine!!! E Fazio ride...

"I POLITICI SONO I CAMERIERI DEI BANCHIERI", Ezra Pound

Roma, 13 lug. (Apcom) - "La fase di recessione, con due trimestri di crescita negativa, è arrivata alla fine".
Lo assicura il ministro dell'Economia, Domenico Siniscalco, intervenendo all'Assemblea dell'Abi, sottolineando: "Mi fa piacere che il Governatore Fazio sia d'accordo su questo". Per il 2006 e per il 2007, ribadisce il ministro citando le previsioni contenute nella bozza del Dpef, "in linea prudenziale si può pensare ad una crescita dell'1,5% all'anno, lievemente superiore alla crescita potenziale" che - ricorda il ministro - "è scesa all'1,3% dal 4% degli anni '70". Segno che "qualcosa è successo nel motore" dell'economia italiana.

Taglio delle spese correnti e delle tasse alle imprese. Questa la ricetta del governatore di Bankitalia Fazio, al governo che si appresta a varare il DPEF. Intervendo all'assemblea dell'ABI, ha sottolineato la gravita della situazione economica prevedendo per il prossimo anno un indebitamento vicino al 5 %, in assenza di interventi correttivi. "Tuttavia nel 2006, ha detto ancora Fazio, la crscita potrebbe superare l'1 %."

(ANSA)-ROMA, 13 LUG-'La fase di recessione credo sia arrivata alla fine' ha detto il ministro Siniscalco, durante il suo intervento all'assemblea dell'Abi. 'Non siamo in declino - ha aggiunto - ma in transizione'.
'Le voci di rinvio della riforma dell'Irap le ritengo campate in aria' ha detto il ministro dell'Economia. 'Quest'anno non ci sara' un tetto di spesa indifferenziato, ma dei target mirati' ha sottolineato Siniscalco parlando del tetto del 2% alla spesa della P.A., introdotto con la scorsa finanziaria.

Roma, 13 lug. (Apcom) - Il sistema bancario "è in crescita dimensionale e per questo è lecito chiedere di piu': alle banche bisogna chiedere un aiuto di fondo perchè il sistema Italia torni a crescere". Lo ha affermato il ministro dell'Economia, Domenico Siniscalco, nel corso del suo intervento all'Assemblea annuale dell'Abi, sottolineando che "se l'Italia non torna a crescere in termini reali, neppure i successi delle banche saranno reali". Parlando del sistema bancario in generale il ministro ha detto che "non c'è più la 'foresta pietrificata', dopo 17 anni possiamo affermarlo e i risultati di bilancio del 2004 lo dimostrano".

L'immagine “http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/topnews/med/ee948d29c376e250cd3c45b1f40e8347.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.

E PER CHIUDERE UN ARTICOLO DA 'LA PADANIA'..

Via libera dell’Ecofin per riportare il rapporto deficit-Pil italiano sotto il tetto del 3%
«Niente lacrime e sangue, manovra accettabile»
Siniscalco: verrà attuata una riduzione dell’1,6% nel biennio 2006-2007. Almeno lo 0,8% l’anno prossimo
L’Ecofin ha dato il via libera alla procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia per il superamento del rapporto deficit/Pil. L’accordo da parte dei ministri delle Finanze europei prevede una diminuzione del deficit di almeno l’1,6% del Pil nel 2006 e nel 2007, di cui almeno lo 0,8% il prossimo anno per riportare il deficit sotto il 3% del Pil.
Il nostro obiettivo, ha detto Domenico Siniscalco, è quello di «implementare in maniera rigorosa la finanziaria 2005 e fare un aggiustamento strutturale al netto del ciclo e al netto delle una tantum».
Per il ministro il piano di rientro del deficit chiesto dalla Commissione Ue «consente margini per non strangolare l’economia». La correzione dello 0,8% del Pil che verrà inserita nella manovra finanziaria per il prossimo anno «non è una passeggiata, soprattutto in un anno di recessione e con le elezioni, ma è più che sopportabile» ha sottolineato Siniscalco e comunque «non si tratta di fare una politica di lacrime e sangue».
Vi sono «anzi margini per attuare qualche politica di rilancio dell’economia», ha aggiunto il ministro, spiegando che il percorso di rientro «nell’insieme rappresenta un ottimo compromesso». L’applicazione del Patto di stabilità riformato all’Italia, secondo Siniscalco, è quindi «un ottimo test perchè garantisce un rientro che consideriamo sufficiente e strutturale in un tempo più lungo di quello ammesso dal vecchio Patto, anche in considerazione delle circostanze eccezionali riconosciute alla nostra economia, ma soprattutto perchè il sentiero di rientro è ripulito di tutti i fattori che possono confondere le azioni strutturali effettivamente intraprese».
E poi il ministro dell’Economia ha spiegato che «se alla fine del 2007 il tasso di crescita si fosse rivelato inferiore alle previsioni e non si fosse arrivati» a riportare il deficit sotto il 3% del Pil, «ne ridiscuteremo» e «negozieremo se fare uno sforzo aggiuntivo».
Dalla raccomandazione emerge che il debito/Pil deve calare per «raggiungere il valore di riferimento (60%) a un ritmo soddisfacente in linea con la correzione del deficit eccessivo restaurando un livello adeguato di surplus primario nel medio termine». Per l’Ecofin il risanamento del nostro bilancio non dovrà fermarsi nel 2007 perché il nostro Paese viene invitato «ad assicurare un consolidamento di bilancio strutturale di almeno lo 0,5% del Pil annuo nel medio termine dopo che il deficit eccessivo è stato corretto».
E Siniscalco ha tenuto a precisare che «Quello che ci impegniamo a fare con il Dpef è una diminuzione, al netto del ciclo e delle una tantum, di -0,8% nel 2006 e -0,8% nel 2007, in modo da andare sotto il 4,3% quest’anno, sotto il 4% nel 2006 e sotto il 3% nel 2007». «Questa questione è talmente codificata da non ammettere modifiche e non è soggetta a interpretazione» ha osservato il ministro, sottolineando che «I nostri impegni sono chiari. Se poi dovessero esserci tre anni di recessione, cosa che io escludo e che esclude anche la Commissione, allora vedremo».
In merito al Dpef il ministro ha detto che «non è un esercizio accademico, tendiamo ad andare passo per passo» facendo così un «accenno polemico ad alcuni miei colleghi (dell’Ecofin, n.d.r.) che anche stamattina (ieri n.d.r.) mi spiegavano come avrei dovuto scrivere il Dpef».
«I problemi sono da affrontare uno alla volta e passo per passo», ha proseguito il ministro, osservando che «sulle misure concrete abbiamo una serie di opzioni, ma ritengo che si debba andare avanti per passi e per ora bloccare i saldi, i dettagli li definiremo nella legge finanziaria come bisogna fare».
Per quanto riguarda l’Irap Siniscalco ha osservato che un taglio pari a 5 miliardi nel 2006 «non si può fare». Siniscalco ha spiegato che un intervento di tale entità non sarebbe possibile «neanche con tutta la buona volontà».
«Credo non sia un errore ridurre la spesa e ridurre le imposte». Tuttavia entrambe le idee «non» vanno viste in un’ottica «di politica congiunturale - ha osservato - che vuol darmi i suoi effetti in un anno o in un altro, ma di una politica di tipo strutturale» che mira a «ridurre la presenza dello stato nell’economia». «Non è che quando toccheremo l’Irap in Finanziaria o conterremo altra spesa corrente, ci aspettiamo che per questo il Pil 2006 vada meglio» ha spiegato il ministro.
Si tratta piuttosto, ha aggiunto, di «un aggiustamento strutturale dell’economia che è sovra-oberata da questi problemi» tra cui «il debito pubblico».
Infine c’è da registrare che l’Ocse prevede che nel 2005 il Pil dell’area euro crescerà dell’1,2%, mentre nel 2006 si attesterà a un +2%. L’Ocse ha evidenziato che qualche segnale di ripresa si intravede all’orizzonte, grazie proprio agli investimenti privati e ai consumi soprattutto verso la fine del 2005 e durante il 2006. Per aiutare la ripresa l’Ocse ha invitato la Bce a ridurre il costo del denaro all’1,5% quest’anno per poi riportarlo al 2,25% in tre mosse durante il 2006. Con un’inflazione al di sotto del 2% e con il prezzo del petrolio stimato a 49 dollari al barile per il biennio 2005-2006, ciò a detta degli esperti dell’istituto potrebbe stimolare la crescita.
Sul fronte del mercato del lavoro, l’Ocse prevede che il tasso di disoccupazione dell’area euro nel 2005 si porterà al 9%, mentre nel 2006 scenderà all’8,7%. La disoccupazione è rimasta stabile, grazie agli interventi di alcuni paesi membri sulla flessibilità e il lavoro temporaneo. Per l’Ocse si deve fare anche attenzione a non «gonfiare artificialmente i prezzi delle case»: il rischio è creare «una bolla immobiliare».

lunedì, luglio 11, 2005

MEMBRI DELLA COMMISSIONE PER LA VIGILANZA SULL'ISTITUTO DI EMISSIONE E SULLA CIRCOLAZIONE DEI BIGLIETTI DI BANCA

(Testo unico 28 aprile 1910, n. 204, art. 110, modificato dal decreto luogotenenziale 31 dicembre 1915, n. 1928, art. 1)

Membri della XIV legislatura
EUFEMI Maurizio, UDC, Senatore
RIPAMONTI Natale, Verdi-Un, Senatore
BERRUTI Massimo Maria, FI, Deputato
CANELLI Vincenzo, AN, Deputato
CENNAMO Aldo, DS-U, Deputato

Membri della XIII legislatura
D'ALI' Antonio, FI, Senatore
GIARETTA Paolo, PPI, Senatore
MONTAGNA Tullio, DS-U, Senatore
CAVERI Luciano, Misto, Min. linguist, Deputato
CENNAMO Aldo, Dem.Sin.-Ulivo, Deputato
MARZANO Antonio, Forza Italia, Deputato

Membri della XII legislatura
CAPONE Alfonso, CCD, Senatore
CAPONI Leonardo, Rif.Com.-Progr., Senatore
MANTOVANI Silvio, Progr. Feder., Senatore
ARCHIUTTI Giacomo, Forza Italia, Deputato
MARINO Luigi, Rif.Com.-Progr., Deputato
OSTINELLI Gabriele, Lega Nord, Deputato

Membri dell'XI legislatura
CAVAZZUTI Filippo, PDS, Senatore
COVI Giorgio Tullio, Repubblicano, Senatore
LEONARDI Ezio, DC-PPI, Senatore
FERRARI Marte, , Deputato
MANTOVANI Silvio, PDS, Deputato
VARRIALE Salvatore, DC-PPI, Deputato

Membri della X legislatura
CAVAZZUTI Filippo, Sin. Ind., Sin. Ind., Senatore
COVI Giorgio Tullio, Repubblicano, PRI, Senatore
FAVILLA Mauro, DC, Senatore
AIARDI Alberto, DC, Deputato
SERRENTINO Pietro, PLI, PLI, Deputato
UMIDI SALA Neide Maria, Com. - PDS, Deputato

Membri della IX legislatura
PINTUS Francesco, Sin. Ind., Senatore
RUBBI Emilio, DC, Senatore
BELLOCCHIO Antonio, PCI, Deputato
CONTU Felice, DC, Deputato
FERRARI Giorgio, PLI, PLI, Deputato

Legislature precedenti

La commissione Parlamentari membri della Commissione per la vigilanza sull'istituto di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca non ha componenti nella legislatura 08 alla data lunedì 11 luglio 1983

Cancelliamo il bluff




























Per 14 paesi africani e 4 dell’America centro-meridionale è stato annullato un debito di 40 miliardi di dollari. Di certo non sono pochi, ma allora perché c’è chi grida al bluff? Perché gli unici ad essere soddisfatti sono i ministri delle finanze dei paesi più ricchi ed industrializzati del mondo? Le Ong, la
Roppa (rete che riunisce gli agricoltori di 10 paesi dell’Africa occidentale), il Presidente della Commissione europea Barroso, ministri e presidenti africani dicono che si sarebbe potuto fare di più, si sarebbe dovuto fare di più. E al coro degli insoddisfatti si aggiungono il presidente dell’Istituto di ricerche economiche di Amburgo Thomas Straubhara e addirittura Nicky Oppenheimer, il magnate capo della De Beers, multinazionale leader nel commercio dei diamanti.

Il debito. Secondo uno studio di un’associazione di Missionari d’Africa, il debito dei paesi Africani nasce all’inizio degli anni Settanta, per poi aumentare durante gli anni Ottanta a causa delle importazioni dei prodotti petroliferi e della concorrenza a prezzi stracciati delle materie prime agricole dei paesi industrializzati. Le casse dei governi africani si ritrovano improvvisamente vuote. Da qui l’esigenza di chiedere prestiti alle agenzie multilaterali (la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale) o direttamente ai paesi del Nord del mondo e, soprattutto, rispettare le loro condizioni. A causa dei tassi di interesse e della severità nel rispettare le scadenze che le agenzie impongono, il debito aumenta anno dopo anno benché alcuni paesi non chiedano più alcun prestito. La Banca Mondiale dichiara che nel 2003 il debito estero dei paesi sub-sahariani ammontava a 231 miliardi di dollari, di cui 69 miliardi contratto con donatori multilaterali (BM e FMI) e i restanti 162 con donatori bilaterali (le singole Nazioni). Ad oggi l’Associazione delle Ong italiane calcola che il debito totale dei paesi poveri (40 in tutto) sia intorno ai 400 miliardi di dollari.

Solo 18 paesi su 40. I paesi che vedranno il loro debito multilaterale annullato sono solo 18, ai quali se ne aggiungeranno altri 9 nel giro di un anno e mezzo e poi, forse, altri 11. Questo solo nel caso in cui, anche questi ultimi, come precedentemente hanno fatto gli altri, riescano a soddisfare le condizioni richieste per ottenere l’annullamento. Per entrare nelle grazie dei paesi più ricchi non è sufficiente far parte dei “paesi poveri fortemente indebitati” (Heavily Indebted Poo Countries, HIPC) o avere il triste primato di un bambino morto ogni 3 secondi, ma bisogna soddisfare alcune “conditionalities”. Tra queste, combattere la corruzione, attuare politiche per la crescita economica, migliorare lo sviluppo del settore privato ed eliminare gli impedimenti agli investimenti privati, sia nazionali che esteri. L’Uganda, ad esempio, per poter ricevere i fondi della BM ha dovuto svendere gran parte delle aziende statali a privati, ricavando solo 2 dei 500 milioni di dollari previsti. La privatizzazione e la liberalizzazione dei flussi capitali sono stati una manna per le multinazionali occidentali, che hanno trovato così nuovi mercati da conquistare.

L'immagine “http://www.peacereporter.net/upload/immagini/mondo/050707scrittacancella.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.

Come intervenire? Sono anni ormai che i paesi africani chiedono agli Stati Uniti e all’Europa di interrompere le sovvenzioni a vantaggio dei prodotti agricoli occidentali. Queste sovvenzioni, circa 300 miliardi di dollari l’anno, hanno scombussolato l’equilibrio del mercato agricolo mondiale, abbassando di molto i prezzi dei prodotti occidentali. Alla fine degli anni settanta l’Africa copriva il 12% del commercio mondiale di materie agricole, oggi, dopo poco più di vent’anni, si è ridotta fino ad arrivare al 2,4%. Questo hanno chiesto i ministri del commercio africano in una riunione a metà giugno al Cairo. E a loro hanno fatto eco i contadini e gli agricoltori riuniti nella rete “Roppa”. Il 70% dei lavoratori africani lavora la terra, i prodotti da agricoltura familiare coprono buona parte del fabbisogno delle comunità locali, ma le esportazioni non reggono il confronto con i prezzi dei prodotti agricoli europei e statunitensi. Troppo bassi proprio per le sovvenzioni e i sussidi che all’oggi ancora ricevono.
La regolarizzazione del commercio è la chiave anche secono Nicky Oppenheimer, mentre il Presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso afferma l’importanza del libero scambio per tutti i prodotti dei paesi in via di sviluppo e una politica basata sulla riduzione delle tariffe per i prodotti agricoli.
La cancellazione del debito è un passo avanti, ma la strada per risolvere i problemi dei paesi in via di sviluppo è ancora troppo lunga per poter definire l’annullamento un “momento storico” (John Snow) o “un’intesa epocale” (Domenico Siniscalco).

da http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&ida=&idt=&idart=3169

Situazione dopo gli attenatati

(AGI) - Roma, 9 lug. - Gli attacchi terroristici a Londra e i dati Usa fiacchi hanno ridato slancio all'euro e indebolito la sterlina. Le ultime quotazioni di New York vedono la moneta europea a 1,1973 dollari, 134,43 yen e 0,6888 sterline. Il rafforzamento dell'euro verso il dollaro e' sostenuto dai dati Usa meno positivi delle attese e anche da un ruolo di 'moneta' rifugio che si sta costruendo nel clima provocato dal terrorismo internazionale: se all'11 settembre 2001 era sotto la parita' (0,9146 dollari per un euro) lo scorso anno la sua corsa non fu frenata dall'attacco a Madrid (1,2357 dollari per un euro). Mercoledi', prima degli attentati di Londra, l'euro quotava fra 1,1889 e 1,1934. Ma, dopo le bombe su bus e metropolitane, la valuta europea ha ritrovato slancio superando 1,20 dollari e ha continuato a non scendere sotto 1,19. Sui mercati valutari accusa invece debolezza la sterlina, a 0,6888 contro l'euro in chiusura di settimana. E i mercati valutari sono sotto ancor piu' stretta osservazione delle banche centrali dopo gli attentati di giovedi'. Bce, Banca d'Inghilterra e Federal Reserve sono pronte a intervenire in qualsiasi momento, come annunciato fin dai minuti immediatamente successivi agli attacchi terroristici. Sia la Banca d'Inghilterra che la Bce, nella stessa giornata, hanno comunque lasciato invariati i tassi. Tassi che, per quanto riguarda l'euro, sembra che difficilmente scenderanno a breve termine anche se sono in molti a chiedere alla Bce un intervento in questo senso. Francoforte, pero', e' preoccupata dal rally dei prezzi petroliferi, che potrebbe portare a una crescita dell'inflazione.

09/07/2005 - 14:14

Il Reddito di Cittadinanza

Negli ultimi mesi in Italia si è parlato di Reddito di Cittadinanza (RdC).
In Campania il RdC è stato messo in atto nel 2004, in via sperimentale per 3 anni. Le graduatorie sono state ultimate entro il 10 di marzo e i beneficiari dovrebbere aver avuto diritto agli arretrati delle mensilità di dicembre, gennaio e febbraio.
Nella sostanza vengono forniti contributi monetari mensili non superiori a 350 euro per nucleo familiare alle famiglie con reddito annuo non superiore ai 5000 euro (ciò vuol dire neanche 800 euro mensili comprensivi di RdC). Qui trovate nel dettaglio tutte le specifiche del caso.

Nella realtà dei fatti il RdC così gestito ha provocato solamente illusione e "ostilità tra poveri" anche se il sindaco Bassolino lo annunciò in questa maniera: «E una straordinaria pratica sociale, speriamo che nei prossimi tre anni vi sia qualcosa di analogo a livello nazionale»

Il 16 giugno del 2005 anche Pietro Marrazzo parla di questo modello di RdC:

“Una presenza istituzionale per sottolineare l’attenzione che le regioni nutrono verso strumenti come il reddito sociale, in una fase in cui il nostro Paese sta vivendo, al di là delle situazioni drammatiche della fascia sociale degli indigenti, una preoccupante crescita della precarizzazione del lavoro”. Lo ha detto Piero Marrazzo, presidente del Lazio, regione che ha assunto il coordinamento, per la Conferenza delle regioni e delle province autonome, della commissione ‘Istruzione, Lavoro, Innovazione e Ricerca’, in occasione della presentazione, da parte dell’assessore alla Sanità e alla solidarietà sociale della Basilicata, Rocco Colangelo dell’iniziativa legislativa ‘reddito di cittadinanza’ per l’inclusione sociale. In sintesi, la regione intende assegnare dei contributi per l’inclusione sociale, finalizzati a elevare i nuclei familiari dalla soglia di povertà, ma insieme a percorsi di inserimento formativo ed occupazionale. “E’ importante - ha spiegato Marrazzo - che il Parlamento arrivi a definire un testo unificato in tale materia. E’ però altrettanto importante definire chi dovrà governare l’applicazione di uno strumento di questo genere. Sono convinto che, in base alle esperienze già fatte e alle prime sperimentazioni avviate, ma soprattutto a quanto previsto dal Titolo V della Costituzione, debbano essere le regioni il livello istituzionale di riferimento, sulla base del principio di sussidiarietà e, quindi, con gli enti locali”.


Questo è invece il disegno di legge presentato su iniziativa popolare dal Sindacato SAUS.

Art. 1 - L'EURO, all'atto dell'accettazione, nasce di proprietà dei cittadini ed è acquisito a tal fine nella disponibilità degli Stati Membri aderenti al Trattato di Maastricht. L'EURO è pertanto proprietà del portatore.

Art. 2 - Ad ogni cittadino è attribuito un codice dei redditi sociali, mediante il quale gli viene accreditata la quota di reddito causato dalla accettazione monetaria e da altre eventuali fonti di reddito in attuazione del 2° co. dell'art.42 della Costituzione.

Art. 3 - Accettata la proprietà dell'EURO in rappresentanza della collettività nazionale, il Governo è legittimato a trattenere all'origine quanto necessario per le esigenze fiscali di pubblica utilità.

Art. 4 - Norma transitoria. E' concessa la moratoria dei debiti a richiesta di parte in attesa che si accerti di chi sia la proprietà dell'EURO all'atto dell'emissione.

In questo caso si che possiamo parlare di vero Reddito di Cittadinanza (art 2). Ma è impensabile farlo senza aver prima considerato la proprietà della moneta (art 1).
Mi chiedo. Il sindaco Bassolino o il presidente regionale Marrazzo, sono a conoscenza di questo fatto?
Quando il primo auspica "qualcosa di analogo a livello nazionale" ed il secondo "l'importanza che il Parlamento emetta un testo unificato su questa materia", cosa intendono?
Perchè non dicono a chiare lettere che il loro Reddito di Cittadinanza è l'ennesima freagura che non potrà mai risolvere problemi, semmai li posticiperà di qualche tempo. Dare qualche centinaio d'euro a chi ne guadagna meno di 500 al mese non risolverà, purtoppo, nulla. Colui che riceverà questo RdC rimarrà sempre sull'orlo della sussitenza.
O pensate che un nucleo familiare possa vivere con 850 euro al mese?

E' il sistema che va cambiato. E' urgente oggi più che mai, riconoscere la truffa che ruota attorno alla creazione di moneta.
Allora riparleremo di Reddito di Cittadinanza UNIVERSALE.

domenica, luglio 10, 2005

Un pò d'americano..

A letter written by professor emeritus, Seymour E. Harris, famous Harvard economist who served as advisor to President Kennedy, printed July 16 in the Washington post says in part:

"On no issue of economic policy has more nonsense been written than on the independence of the Federal Reserve System. And no one has proclaimed this independence more insistently than Mr. William McChesney Martin, Chairman of the Federal Reserve Board. ... We cannot afford, in these days of crisis, the luxury of the Executive going one way and the Fed another.
Under President Kennedy, there were threats of restrictive monetary policy; e.g., at one point Mr. Martin would VETO the tax cut by not financing the deficit out of additional money. The Board itself gives too much attention to the wishes of the financial interests. The banks even more so. ..."


The Fed "... could - if it so desired - reduce or even

retire all of our publicly held national debt

by providing banks with reserves.

But bankers cannot exist without debt.

No debt, no money.

Government paper is wonderful to have around. The clipping of coupons is profitable - and

no risk exists."


No government or independent audit has ever been made of the 12 Federal Reserve banks.



giovedì, luglio 07, 2005

Attentati terroristici: ci risiamo. A Londra decine di vittime.

Londra. In simultanea: veri attentati ed esercitazione antiterrorismo
da http://www.comedonchisciotte.org

"Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno
spinto qualcuno ad assassinarmi"
Giovanni Falcone a seguito del fallito attenato all'Addaura di Mondello (20 giugno 1989)

"Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana."

(J. F. Kennedy; citazione che Giovanni Falcone amava spesso riferire)

«Non escludo un ruolo della finanza internazionale»
Nicola Mancino, a seguito dell’ondata di attacchi terroristici che colpirono il paese nel 1993

"[...] grazie ad una intercettazione si è potuto accertare che la rivendicazione islamica proveniva da un cellulare di proprietà di un cittadino israeliano [...]"
Nicola Mancino sui tuttora oscuri attentati di Roma e Milano del 1993 (dal Corriere della sera del 29 luglio 1993)



E’ meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani…

Spendendo tutti i sogni eludendo i guardiani…

Finché il tuo cuore è intatto e il tuo coraggio non mente,

ti ritroverai uomo dietro un fantasma di niente.

Ti mostrano il sorriso e poi li scopri…assassini!…

Ti vendono la morte pur di fare quattrini…

E sulla pelle del tuo ultimo fratello innocente

C’era rimasto un buco solamente…

La tua idea, la tua idea…

Non mollare, ma difendi la tua idea!

Ricordi quando ti nasceva una canzone

E quando la speranza aveva gli occhi tuoi?

Vincerai, se lo vuoi…

Ma non farti fregare gli anni tuoi!

Il blu del cielo forse adesso ha una ragione…

Ferma l’amore, non lasciarlo andar via!...


La tua idea, Renato Zero


martedì, luglio 05, 2005

«Basta con l’usurocrazia»

«Basta con l’usurocrazia»
Intervista ad Auriti: moneta locale per combatterla

di Gianluca Savoini

La giornata conclusiva dell’Università d’Estate della “Giovane Padania” ha avuto come protagonista principale il professor Giacinto Auriti, inventore della “local money” che è stata diffusa nel comune di Guardiagrele (Ch) e poi “copiata” anche a Crotone. Sul palco degli oratori, sotto la direzione di Mario Borghezio, si sono succeduti gli interventi, molto interessanti e acuti, dei sindaci leghisti di Lazzate (Cesarino Monti), Caravaggio (Ettore Pirovano) ed Erba (Filippo Pozzoli), del consigliere comunale di Milano Laura Molteni, dell’onorevole Cesare Rizzi e degli ospiti invitati dai responsabili della “tre giorni” di studio: il professor Renato Del Ponte, editore e studioso della tradizione dei popoli padani (in particolare i Liguri) e di Roma antica e il professor Agostino Sanfratello dell’Università di Teramo, profondo conoscitore della massoneria mondialista.
Abbiamo chiesto a Giacinto Auriti di spiegarci i contenuti della sua proposta.
«La moneta locale che stiamo sperimentando con successo è un pugno in faccia all’usurocrazia bancaria mondialista internazionale - precisa Auriti -. Ci troviamo infatti di fronte ad una deformazione etica fondamentale, dove il principio del “conviene essere giusti” è stato sostituito dall’ “è giusto quello che conviene”. Tale degenerazione si è manifestata in maniera netta attraverso la nascita della moneta nominale».
Ovvero, professor Auriti?
«Questo Stato si basa non sulla Carta costituzionale, ma sulla Banca centrale, la quale ha sottratto alla sovranità politica la sovranità monetaria, trasformando i popoli da proprietari in debitori del loro denaro».
Siamo quindi tutti debitori nei confronti della Banca d’Italia: è questo il punto?
«Esattamente. È democrazia tutto ciò? La novità del Simec (la moneta locale da me ideata) è quidni dirompente. Il Simec non è soltanto una proposta di decentramento della funzione monetaria, ma anche una proposta di riforma sostanziale. Sulle nostre banconote ci sono infatti tre parole fondamentali: “proprietà del portatore”. Ha le stesse caratteristiche della moneta d’oro».
Con il vostro esperimento monetario, voi volete dimostrare di poter creare una moneta senza riserva bancaria?
«Lo possiamo fare benissimo. Siccome questa fattispecie è diversa dalla lira italiana, giustamente il tribunale a Chieti ha ammesso la legittimità della nostra proposta. È come se si mettessero in circolazione francobolli d’antiquariato, che hanno valore per convenzione senza riserva. La lira invece basa sulla riserva, quindi è una fattispecie diversa».
Questa moneta locale potrà quindi circolare insieme alla lira italiana. Gli effetti positivi pratici quali sono?
«Possiamo usare il Simec non solo contro l’usurocrazia finanziaria mondialista, ma anche come moneta d’emergenza. Prepariamoci infatti al terremoto monetario, annunciato anche da Greenspan».
Quale terremoto monetario?
«Quello che avverrà il 28 febbraio 2002, quando cesserà la doppia circolazione monetaria e resterà solo l’euro. Ci sarà sicuramente un ritardo della sostituzione della moneta nazionale con l’euro. Sarà il caos per i cittadini, con rarefazione monetaria. Dobbiamo preparare quindi il Simec».

Inchiesta romana su Antonveneta indagato dirigente Bankitalia

Abuso d'ufficio è il reato ipotizzato nei confronti di Frasca
E Milano indaga sul direttore finanziario della Bpl Gianfranco Boni
Inchiesta romana su Antonveneta indagato dirigente Bankitalia


ROMA - Il capo della vigilanza di Bankitalia, Francesco Frasca, è il primo indagato nell'inchiesta romana su Antonveneta. Frasca, direttore centrale per l'area creditizia e finanziaria della Banca d'Italia, ha ricevuto un invito a comparire da parte del procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, e dal sostituto Perla Lori che indagano sulle presunte irregolarità legate ai controlli esercitati da Bankitalia nell'ambito della scalata ad Antonveneta.

Stando alle indiscrezioni, il reato ipotizzato nei confronti del dirigente è abuso d'ufficio. Nelle scorse settimane Frasca è stato sentito come testimone dai magistrati, anche con riferimento ai risvolti legati alla scalata della Bnl.

L'audizione di Frasca, e di altri dirigenti di Bankitalia tra i quali Claudio Clementi, addetto alla vigilanza, e Giovanni Castaldi, funzionario dell'area sorveglianza e servizio autorizzazioni, sono state tuttavia incentrate sulle verifiche effettuate da Bankitalia sul capitale della Banca Popolare di Lodi prima che questa raggiungesse quasi la soglia del 30 per cento di Antonveneta. Nei prossimi giorni Frasca dovrà tornare dai magistrati, questa volta assistito da un difensore.

L'inchiesta romana sulla scalata ad Antonveneta è partita da un esposto nel quale si chiede di accertare la regolarità delle comunicazioni fatte all'istituto di emissione.

Intanto va avanti anche l'inchiesta della procura di Milano dove c'è un nuovo iscritto nel registro degli indagati. Si tratta di Gianfranco Boni, direttore finanziario di Banca Popolari di Lodi, ora Popolare Italiana. L'inchiesta è stata aperta alla fine di aprile con ipotesi di reato che vanno dall'aggiotaggio, all'insider trading, fino all'ostacolo all'attività di vigilanza della Consob.

da http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/economia/banche5/antonroma/antonroma.html

LE BANCHE CENTRALI E IL CONTROLLO PRIVATO DEL DENARO

Utilizzando le tecniche di riserva frazionale bancaria, i Rothschild ed i loro alleati iniziarono, sin dagli albori del 19mo secolo, a dominare le banche centrali in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia.

Seconda parte di due

Estratto dal libro del video THE MONEY MASTERS: How International Bankers Gained Control of America
Pubblicato e riveduto nel 1998 da Royalty Production Company PO Box 114, Piedmont OK 73078, USA
www.themoneymasters.com

7. L’ASCESA DEI ROTHSCHILD
Francoforte, Germania. Nel 1743, cinquant’anni dopo che la Banca d’Inghilterra aveva aperto i battenti, un orafo di nome Amschel Moses Bauer inaugurò un conio di monete - un ufficio di contabilità - e sull’entrata collocò un’insegna rappresentante un’aquila Romana su uno scudo rosso; il negozio divenne noto come la ditta dello Scudo Rosso o, in lingua tedesca, Rothschild. Quando il figlio Mayer Amschel Bauer ereditò l’attività decise di cambiarsi il nome, assumendo per l’appunto quello di Rothschild.
Mayer Rothschild imparò ben presto che prestare denaro a governi e monarchi era assai più vantaggioso che farlo nei confronti di singoli privati; non solo i prestiti erano di maggiore entità, ma venivano anche assicurati dalle tasse delle varie nazioni.
Mayer Rothschild aveva cinque figli. Egli li addestrò tutti nelle segrete tecniche di creazione e manipolazione di denaro e quindi li inviò nelle principali capitali europee per aprire filiali della banca di famiglia. Le sue volontà stabilirono che uno dei figli di ogni generazione avrebbe diretto gli affari di famiglia; le donne erano escluse.
Il primogenito di Mayer, Amschel, rimase a Francoforte per occuparsi della banca della città natale; il secondogenito, Salomon, fu spedito a Vienna; il terzo figlio, Nathan, che era chiaramente il più abile, fu mandato a Londra nel 1798, all’età di 21 anni, un secolo dopo la fondazione della Banca d’Inghilterra; il quarto figlio, Karl, si recò a Napoli; il quinto figlio, Jakob (James), andò a Parigi.
Nel 1785 Mayer trasferì l’intera famiglia in un’abitazione più grande, un edificio a cinque piani condiviso con la famiglia Schiff; tale edificio era conosciuto col nome di casa dello Scudo Verde. I Rothschild e gli Schiff avrebbero avuto un ruolo di primaria importanza nella storia finanziaria dell’Europa, degli Stati Uniti e del resto del mondo; il nipote di Schiff si trasferì a New York ed aiutò a finanziare il colpo di stato bolscevico del 1917 in Russia.
I Rothschild si misero in affari con i reali europei a Wilhelmshöhe, la reggia dell’uomo più ricco della Germania - in effetti il monarca più ricco di tutta l’Europa - il Principe Guglielmo di Hesse-Cassel. All’inizio i Rothschild consigliavano Guglielmo soltanto in merito a speculazioni relative a monete preziose. Tuttavia, quando Napoleone costrinse il Principe Guglielmo all’esilio, quest’ultimo inviò a Londra a Nathan Rothschild 550.000 sterline (che all’epoca erano una somma enorme, equivalente a svariati milioni di dollari del giorno d’oggi) perché fossero impiegate per acquistare titoli consolidati - obbligazioni o titoli statali britannici - ma Rothschild utilizzò il denaro per i propri affari; con Napoleone in giro, le opportunità di investimenti bellici altamente remunerativi erano pressoché illimitate.
Guglielmo ritornò a Wilhelmshöhe qualche tempo prima della battaglia di Waterloo del 1815; egli convocò i Rothschild e pretese la restituzione del suo denaro. I Rothschild restituirono il denaro di Guglielmo, con l’otto per cento di interesse che i titoli britannici gli avrebbero fruttato se l’investimento fosse stato effettivamente fatto; i Rothschild, però, tennero per sé gli ingenti profitti di guerra che avevano conseguito utilizzando il denaro di Guglielmo - losca pratica in ogni secolo.
In parte con questi metodi, Nathan Rothschild riuscì a vantarsi, in seguito, di aver aumentato, in 17 anni trascorsi in Gran Bretagna, l’originale capitale di 20.000 sterline affidatogli dal padre di 2.500 volte, vale a dire fino a 50.000.000 sterline - una somma davvero considerevole per quei tempi, comparabile al potere d’acquisto di miliardi di dollari dei nostri giorni.
Agli inizi del 1817, il ministro del Tesoro Prussiano, nel corso di una visita a Londra, scrisse che Nathan Rothschild aveva:
...una incredibile influenza su tutte le transazioni finanziarie qui a Londra. Viene ampiamente affermato...che egli regola completamente il tasso di cambio nella City. Il suo potere in quanto banchiere è enorme.
Nel 1818 il segretario del principe austriaco Metternich, scrivendo dei Rothschild, affermava che:
...essi sono le persone più ricche d’Europa.
Le banche dei Rothschild, cooperando all’interno della famiglia e utilizzando le tecniche di riserva frazionale bancaria, divennero incredibilmente ricche. Verso la metà del 1800 essi dominavano tutto il sistema bancario europeo ed erano sicuramente la famiglia più ricca del mondo; una considerevole parte della dissoluta nobiltà europea era fortemente indebitata con loro.
In virtù della loro presenza come banchieri in cinque nazioni, i Rothschild erano in effetti autonomi, un’entità indipendente dai paesi nei quali operavano. Se le direttive politiche di una nazione non favorivano loro o i loro interessi, essi potevano semplicemente non concedere ulteriori crediti in loco, oppure concederne a quelle nazioni o gruppi che contrastavano tali direttive. Soltanto loro erano a conoscenza dei luoghi in cui erano depositate le loro riserve d’oro e di altro genere, così da essere protetti da confische, multe, pressioni o tassazioni governative, rendendo così ogni revisione dei conti o indagine nazionale effettivamente insensata; soltanto loro erano a conoscenza dell’abbondanza (o della scarsità) delle proprie riserve frazionali, sparpagliate in cinque nazioni - il che rappresentava un enorme vantaggio rispetto a semplici banche nazionali impegnate a costituire una riserva frazionale.
Fu proprio il carattere internazionale delle banche dei Rothschild che conferì loro dei vantaggi unici sulle banche nazionali e sui governi; e questo fu esattamente ciò che i legislatori e i parlamenti nazionali avrebbero dovuto proibire, cosa che però non fecero. Tale situazione rimane inalterata per quanto riguarda le banche internazionali o multinazionali proprie dei nostri tempi e costituisce la forza trainante della globalizzazione - la spinta verso un governo mondiale.
I Rothschild concessero enormi prestiti per acquisire monopoli in svariate industrie, garantendo in questo modo la capacità dei debitori di restituire i prestiti alzando i prezzi senza paura della concorrenza, incrementando al contempo il potere politico ed economico dei Rothschild. Essi finanziarono Cecil Rhodes, consentendogli di instaurare un monopolio sui terreni auriferi del Sudafrica e sui diamanti DeBeers; in America finanziarono la monopolizzazione delle ferrovie.
La National City Bank di Cleveland, che nel corso delle udienze congressuali è stata riconosciuta come una delle tre banche dei Rothschild negli Stati Uniti, ha fornito a John D. Rockefeller il capitale per iniziare la sua monopolizzazione nel settore della raffinazione del petrolio, cosa che ha poi portato alla fondazione della Standard Oil.
Jacob Schiff, nato nella casa dello Scudo Verde dei Rothschild a Francoforte e quindi loro agente principale negli Stati Uniti, consigliò Rockefeller e architettò il famigerato accordo di rimborso che quest’ultimo richiese segretamente ai petrolieri rivali che trasportavano per ferrovia. Queste stesse ferrovie erano già state monopolizzate dal controllo dei Rothschild tramite gli agenti ed alleati J. P. Morgan e Kuhn, Loeb & Company (Schiff faceva parte del Consiglio) che, assieme, controllavano il 95% di tutta la percorrenza delle ferrovie statunitensi.
Nel 1850 si stimò che il capitale di James Rothschild, erede del ramo francese della famiglia, ammontasse a 600 milioni di franchi francesi - cioè 150 milioni in più di tutti gli altri banchieri di Francia messi assieme. James era stato collocato a Parigi da Mayer Amschel nel 1812 con un capitale di 200.000 dollari; all’epoca della sua morte, nel 1868, cinquantasei anni più tardi, il suo reddito annuale ammontava a 40.000.000 di dollari. In quel periodo in America non vi era fortuna che eguagliasse nemmeno il reddito di un solo anno di James.
Il poeta Heinrich Heine riferendosi a James Rothschild disse:
Il denaro è il dio dei nostri tempi, e Rothschild è il suo profeta.
James costruì la sua favolosa magione, chiamata Ferrières, 19 miglia a nordest di Parigi. Guglielmo I, vedendola per la prima volta, esclamò:
I Re non possono permettersi una cosa del genere. Può appartenere solo ad un Rothschild!
Un altro commentatore francese del 19mo secolo la mette in questi termini:
C’è un unico potere in Europa, ed è quello dei Rothschild.
Non vi è alcun indizio che il ruolo predominante dei Rothschild nella finanza europea o mondiale sia mutato; al contrario, con l’aumentare della loro ricchezza, essi hanno semplicemente incrementato la loro ‘passione per l’anonimato’. I loro vasti possedimenti raramente ne riportano il nome.
Lo scrittore Frederic Morton ha scritto che i Rothschild avevano:
...conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari...

8. LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Prendiamo ora in considerazione gli esiti prodotti dalla Banca d’Inghilterra sull’economia britannica e vediamo come ciò, in seguito, abbia rappresentato la causa principale della Rivoluzione Americana.
Verso la metà del 1700, l’Impero Britannico si stava avvicinando all’apice del suo potere nel mondo. A partire dalla fondazione della propria banca centrale di proprietà privata, la Gran Bretagna aveva combattuto quattro guerre in Europa, il cui costo era stato elevato; per finanziare tali guerre il parlamento inglese, invece di emettere la propria valuta senza interessi, aveva contratto pesanti debiti con la banca.
Alla metà del 18mo secolo il debito del governo britannico ammontava a 140.000.000 di sterline – una somma sbalorditiva per quell’epoca. Di conseguenza il governo, alfine di pagare gli interessi alla banca, intraprese un programma di prelievo fiscale dalle proprie colonie in America.
In America, però, la situazione era diversa. Il flagello di una banca centrale di proprietà privata non vi era ancora arrivato, sebbene la Banca d’Inghilterra dal 1694 esercitasse la sua rovinosa influenza sulle colonie americane. Quattro anni prima, nel 1690, la colonia della Baia del Massachusetts aveva stampato la propria valuta cartacea - primo caso in America - seguita nel 1703 dalla South Carolina e quindi dalle altre colonie.
In quel periodo l’America pre-rivoluzionaria era ancora relativamente povera. Vi era una grave penuria di monete metalliche preziose da utilizzare per l’acquisto di beni, così i primi coloni venivano costretti in misura sempre maggiore a sperimentare la stampa della propria valuta cartacea locale; alcuni fra questi esperimenti ebbero successo ed in alcune colonie, come valuta di scambio, venne usato il tabacco.
Nel 1720, ad ogni Governatore Reale coloniale fu ordinato di limitare l’emissione di valuta coloniale, tuttavia questo provvedimento venne largamente disatteso. Nel 1742, il British Resumption Act stabiliva che le tasse e i debiti di altro genere fossero corrisposti in oro; ciò provocò una depressione nelle colonie e i ricchi pignorarono, corrispondendo un decimo del loro valore reale, tutte le proprietà.
Benjamin Franklin fu un grande sostenitore della stampa della propria valuta cartacea da parte delle colonie; egli, nel 1757, fu inviato a Londra per rivendicare tale diritto e finì col rimanervi per i successivi 18 anni - quasi fino all’inizio della Rivoluzione Americana.
Nell’arco di questo periodo, un numero crescente di colonie americane ignorò le prescrizioni del Parlamento e cominciò ad emettere la propria valuta, chiamata ‘buono coloniale’; il tentativo fu coronato dal successo, con notevoli eccezioni. Il buono coloniale rappresentava un affidabile mezzo di scambio e, inoltre, aiutava a suscitare un sentimento di unità fra le colonie. Ricordate che il buono coloniale era perlopiù valuta cartacea, non gravata da debiti, stampata nel pubblico interesse e non sostenuta realmente da riserve d’oro o d’argento; in altri termini, si trattava di moneta a corso forzoso.
I funzionari della Banca d’Inghilterra chiesero a Franklin in che modo potesse spiegare la ritrovata prosperità delle colonie ed egli, senza esitazioni, rispose:
La questione è semplice. Nelle colonie noi emettiamo la nostra valuta, che si chiama buono coloniale. La emettiamo in quantità appropriata rispetto alla domanda commerciale e industriale per far sì che i prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore... In questo modo, creando per noi stessi la nostra valuta, ne controlliamo il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno.
Questo per Franklin era semplicemente buonsenso, potete tuttavia immaginare l’effetto che ebbe sulla Banca d’Inghilterra. L’America aveva scoperto il segreto del denaro e il genio doveva tornarsene nella bottiglia il prima possibile. Il risultato fu che il Parlamento approvò in fretta e furia il Currency Act del 1764, provvedimento che vietava ai funzionari delle colonie di emettere la propria valuta e ordinava loro di pagare tutte le tasse a venire con monete d’oro o d’argento; in altri termini costringeva le colonie ad adeguarsi agli standard in oro e argento. Questo diede origine alla prima intensa fase della Prima Guerra Bancaria in America - risoltasi con la sconfitta dei Cambiavalute - che iniziò con la Dichiarazione di Indipendenza e si concluse col successivo trattato di pace, il Trattato di Parigi del 1783.
Per coloro che ritengono che uno standard in oro sia la soluzione degli attuali problemi monetari americani, consideriamo quello che accadde in America dopo l’approvazione del Currency Act del 1764. Franklin, nella sua autobiografia, scrisse:
Nel giro di un anno la situazione si era rovesciata al punto che l’era di prosperità era terminata lasciando il posto alla depressione, in misura tale che le strade delle Colonie traboccavano di disoccupati.
Franklin afferma che ciò costituì anche la causa principale della Rivoluzione Americana; sempre dalla sua autobiografia:
Le Colonie avrebbero sopportato di buon grado la ridotta tassa sul tè ed altre materie, se l’Inghilterra non avesse tolto alle Colonie stesse la loro valuta, creando così disoccupazione e malcontento.
Nel 1774, il Parlamento approvò lo Stamp Act, il quale prescriveva l’apposizione, su ogni atto commerciale, di un bollo che attestasse il pagamento di una tassa in oro - cosa che ancora una volta minacciava la valuta cartacea coloniale; meno di due settimane più tardi, il Massachusetts Committee of Safety promulgò una risoluzione a favore dell’emissione di ulteriore valuta coloniale e di riconoscimento della valuta delle altre colonie.
Il 10 e il 22 giugno 1775, il Congresso delle Colonie decise l’emissione di 2 milioni di dollari in valuta cartacea in base al credito e alla fiducia delle “Colonie Unite”. Tale decisione disobbediva alla Banca d’Inghilterra e al Parlamento e rappresentò un atto di sfida, il rifiuto di accettare un sistema monetario ingiusto nei confronti degli abitanti delle colonie.
Così gli attestati di credito (cioè la valuta cartacea) che gli storici ignoranti o prevenuti hanno sminuito considerandoli strumenti di una politica finanziaria incosciente, erano in effetti i principi della Rivoluzione; anzi, erano più di questo: erano la Rivoluzione stessa.

- Alexander Del Mar, storico

Quando, il 19 aprile 1775, furono sparati i primi colpi a Concord e Lexington, Massachusetts, le colonie erano state prosciugate dell’oro e dell’argento dalla tassazione britannica; come risultato, il governo continentale per finanziare la guerra non ebbe altra scelta se non quella di stampare la propria valuta cartacea.
All’inizio della Rivoluzione la fornitura di denaro coloniale americano si attestava intorno ai 12 milioni di dollari; alla fine della guerra raggiunse quasi i 500 milioni. Questo fu in parte dovuto ad una massiccia contraffazione britannica il cui esito fu di rendere la valuta virtualmente senza valore; un paio di scarpe costava 5.000 dollari. Come lamentava George Washington:
Un vagone carico di denaro riuscirà a fatica ad acquistare un vagone carico di approvvigionamenti.
In precedenza il buono coloniale aveva funzionato in quanto veniva emessa una quantità di valuta appena sufficiente a facilitare il commercio, mentre la contraffazione era irrisoria. Oggi, coloro che sostengono una valuta basata sulle riserve d’oro, indicano questo periodo della Rivoluzione per dimostrare gli svantaggi di una moneta a corso forzoso. Ricordate, comunque, che quella stessa valuta, in precedenza, aveva funzionato così bene vent’anni prima in tempo di pace che la Banca d’Inghilterra l’aveva fatta rendere illegale dal Parlamento e che, durante la guerra, gli Inglesi cercarono deliberatamente di scalzarla contraffacendola in Inghilterra e spedendola ‘a balle’ nelle colonie.

9. LA BANCA DEL NORD AMERICA
Verso la fine della Rivoluzione, il Congresso continentale, riunitosi presso l’Indipendence Hall di Filadelfia, si trovò ad avere un bisogno disperato di fondi. Nel 1781 essi permisero a Robert Morris, loro Soprintendente Finanziario, di aprire una banca centrale di proprietà privata, nella speranza che la cosa potesse essere di qualche utilità. Fra parentesi Morris era un benestante il quale, commerciando in materiale bellico durante la Rivoluzione, si era ulteriormente arricchito.
La nuova banca, la Bank of North America, ricalcava da vicino il modello della Banca d’Inghilterra; ad essa venne consentita (o, piuttosto, non venne proibita) la pratica della riserva frazionale bancaria, ovvero poteva prestare denaro che non aveva e quindi applicare su di esso gli interessi. Se io o voi facessimo una cosa del genere saremmo accusati di frode - cioè di un crimine. A quell’epoca ben pochi compresero tale pratica e, naturalmente, essa venne tenuta nascosta il più possibile al pubblico e ai politici; per di più alla banca fu assegnato il monopolio di emettere banconote, accettabili per il pagamento delle tasse.
Lo statuto della banca richiedeva la costituzione di un capitale iniziale di 400.000 dollari versati da investitori privati. Quando però Morris si rivelò incapace di trovare il denaro, egli utilizzò sfacciatamente la sua influenza politica per ottenere che venisse depositato dell’oro nella sua banca - oro che era stato prestato all’America dalla Francia. Egli prestò a sé stesso e ai suoi amici questo denaro per reinvestirlo nelle azioni della banca; la Seconda Guerra Bancaria Americana era iniziata.
Presto i pericoli diventarono evidenti. Il valore della valuta americana continuò a precipitare e quattro anni più tardi, nel 1785, il documento di concessione della banca non venne riconfermato, mettendo fine alla minaccia dello strapotere della banca stessa; così la Seconda Guerra Bancaria Americana si risolse velocemente in una sconfitta dei Cambiavalute.
Il leader di questo efficace sforzo per affossare la banca fu un patriota di nome William Findley, della Pennsylvania, che spiegò il problema nel modo seguente:
Questa istituzione, non avendo altro principio che la cupidigia, non cambierà mai i propri obiettivi...monopolizzare tutta la ricchezza, il potere e l’influenza dello stato.
La plutocrazia, una volta attestatasi, avrebbe corrotto la legislatura in modo che le leggi sarebbero state formulate a suo vantaggio e l’amministrazione della giustizia avrebbe favorito i ricchi.
Gli uomini dietro alla Banca del Nord America - Alexander Hamilton, Robert Morris ed il Presidente della Banca, Thomas Willing - non si diedero per vinti. Solo sei anni più tardi Hamilton, all’epoca Ministro del Tesoro, ed il suo mentore Morris, tramite il nuovo Congresso fondarono una nuova banca centrale di proprietà privata, la Prima Banca degli Stati Uniti; Thomas Willing, ancora una volta, ne rivestì il ruolo di Presidente. I giocatori erano gli stessi, soltanto il nome della banca era cambiato.

10. L’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Nel 1787 i leader coloniali si riunirono a Filadelfia per cambiare i nefasti Articoli della Confederazione. Come abbiamo visto in precedenza, sia Thomas Jefferson che James Madison erano fermamente contrari ad una banca centrale di proprietà privata; avevano visto i problemi causati dalla Banca d’Inghilterra e non volevano niente del genere. Come Jefferson sostenne in seguito:
Se il popolo americano permetterà mai che banche private controllino l’emissione della sua valuta, le banche e le corporazioni che prolificano intorno ad esse, prima tramite l’inflazione e poi tramite la deflazione, priveranno il popolo di tutte le sue proprietà fino al momento in cui i figli si ritroveranno senza tetto nel continente conquistato dai padri.
Nel corso del dibattito sul futuro sistema monetario, un altro dei padri fondatori, Gouvenor Morris, presiedeva il comitato che stese la bozza finale della Costituzione; Morris conosceva bene le ragioni dei banchieri.
Insieme al suo vecchio capo, Robert Morris, Gouvenor Morris e Alexander Hamilton erano quelli che avevano presentato il progetto originale della Banca del Nord America al Congresso continentale tenutosi durante l’ultimo anno della Rivoluzione.
Gouvenor Morris, in una lettera scritta a James Madison in data 2 luglio 1787, rivelava ciò che stava accadendo in realtà:
I ricchi lotteranno per affermare il proprio dominio e conquistare il resto. Lo hanno sempre fatto e sempre lo faranno... Essi avranno qui gli stessi effetti che altrove se noi, tramite il potere del governo, non li circoscriveremo ai loro ambiti specifici.
Nonostante la defezione di Gouvenor Morris dai ranghi dei banchieri, Hamilton, Robert Morris, Thomas Willing e i loro sostenitori europei non avrebbero abbandonato i loro propositi; essi convinsero il grosso dei delegati dell’Assemblea Costituente di non accordare al Congresso il potere di emettere valuta cartacea. La maggior parte dei delegati era ancora scossa dalla selvaggia inflazione della valuta cartacea verificatasi nel corso della Rivoluzione ed essi avevano dimenticato come aveva egregiamente funzionato il buono coloniale prima della guerra. La Banca d’Inghilterra invece no; i Cambiavalute non potevano permettere che l’America stampasse di nuovo la propria moneta.
Molti ritenevano che il Decimo Emendamento, il quale riservava dei poteri agli stati che non erano ammessi dalla Costituzione al governo federale, rendesse incostituzionale l’emissione di valuta cartacea da parte del governo federale, in quanto il potere di emettere valuta cartacea nella Costituzione non era specificatamente affidato al governo federale stesso. La Costituzione a questo proposito non si pronuncia; essa, tuttavia, proibiva in modo specifico ai singoli Stati di “emettere certificati di credito” (valuta cartacea).
La maggior parte degli artefici intendeva il silenzio della Costituzione nel senso di impedire al nuovo governo federale di avere il potere di autorizzare la creazione di valuta cartacea; infatti, il Giornale dell’Assemblea del 16 agosto recita così:
É stato proposto ed appoggiato di cancellare le parole ‘ed emettere certificati di credito’ e la mozione...é passata con risposta affermativa.
Tuttavia Hamilton e i suoi amici banchieri videro questo silenzio come l’opportunità di tenere il governo fuori dalla creazione della valuta cartacea, che speravano di monopolizzare privatamente. Così sia i delegati a favore che quelli contrari ai banchieri, con motivazioni opposte, appoggiarono, con uno scarto di quattro a uno, la mozione per lasciare fuori dalla Costituzione qualsiasi autorità del governo federale relativa alla creazione di valuta cartacea. Questa ambiguità lasciò la porta aperta ai Cambiavalute - proprio come essi avevano pianificato.
Naturalmente la carta moneta non rappresentava di per sé il problema principale. Il problema più rilevante era il prestito di riserva frazionale, poiché esso moltiplicava per molte volte qualsiasi inflazione causata da una eccessiva emissione di valuta cartacea; questo, tuttavia, non veniva compreso da molti, laddove le ricadute negative causate da una smodata produzione di valuta invece lo erano.
Gli estensori, relativamente alla loro convinzione che proibire la valuta cartacea fosse un buon fine da perseguire, furono ben consigliati. La proibizione di tutta la valuta cartacea avrebbe fortemente limitato la riserva frazionale bancaria allora praticata, poiché l’uso di assegni era minimo e si può presumere che sarebbe stato proibito anch’esso. I prestiti bancari però, creati come registri, non furono presi in considerazione e quindi non vennero proibiti.
Nel momento in cui si verificò tale situazione, i governi statale e federale furono largamente intesi come non autorizzati a creare denaro, al contrario delle banche private - sostenendo che tale potere, non essendo specificamente vietato, veniva riservato ai cittadini (incluse persone giuridiche, quali banche società per azioni).
Il ragionamento opposto affermava che le corporazioni bancarie erano strumenti o agenzie degli stati che le ospitavano e quindi doveva essere loro negato di “emettere attestati di credito”, così come accadeva per gli stati stessi. Tale ragionamento venne ignorato dai banchieri, i quali proseguirono a emettere banconote basate sulle riserve frazionali, e perse tutta la sua forza una volta che la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì che anche il governo federale avrebbe potuto concedere uno statuto ad una banca abilitata ad emettere valuta. Alla fine solo agli stati venne proibito di emettere valuta, cosa che invece non fu negata né alle banche private né ai Comuni (come accadde in circa 400 città durante la Grande Depressione).
Un altro errore che spesso non viene compreso riguarda l’autorità concessa al governo federale di “coniare monete” e di “regolamentarne il valore”. Regolamentare il valore della moneta (vale a dire il suo potere d’acquisto o valore relativo ad altri parametri o beni) non ha niente a che fare con la qualità o il contenuto (cioè un tot di parti di rame o di oro etc.) bensì con la sua quantità - la riserva di denaro; è la quantità a determinarne il valore ed il Congresso non ha mai legiferato sulla quantità totale di denaro negli Stati Uniti.
Una legislazione su una fornitura generale di denaro (compresi assegni, valuta e tutti i depositi bancari) in effetti regolamenterebbe il valore (potere d’acquisto) di ogni dollaro e quindi una legislazione relativa al tasso di crescita della riserva monetaria ne determinerebbe il valore futuro. Il Congresso non ha mai legiferato in nessuno di questi due ambiti, sebbene disponga chiaramente dell’autorità costituzionale per farlo; esso ha rimesso questa funzione alla Federal Reserve e alle 10.000 e più banche che creano le nostre riserve monetarie.

11. LA PRIMA BANCA DEGLI STATI UNITI
Nel 1790, meno di tre anni dopo che la Costituzione era stata ratificata, i Cambiavalute colpirono di nuovo. Il Ministro del Tesoro appena nominato, Alexander Hamilton, propose al Congresso un progetto di legge che prevedeva la fondazione di una nuova banca centrale di proprietà privata.
Stranamente era lo stesso anno in cui Mayer Rothschild dalla sua banca ammiraglia di Francoforte fece la seguente dichiarazione:
Lasciate che io emetta e controlli il denaro di una nazione e non mi interesserò di chi ne formula le leggi.
Alexander Hamilton era uno strumento dei banchieri internazionali; egli voleva creare un’altra banca centrale privata, la Banca degli Stati Uniti, e così fece; convinse Washington a firmare il progetto di legge, nonostante le riserve dello stesso Washington e l’opposizione di Jefferson e Madison.
Per convincere Washington, Hamilton accampò la motivazione dei “poteri implicati”, da allora così spesso utilizzata per svuotare la Costituzione del suo contenuto.
Jefferson predisse correttamente le disastrose conseguenze dovute all’apertura di un tale vaso di Pandora, che avrebbe permesso ai giudici di “implicare” qualsiasi cosa andasse loro a genio.
Risulta interessante il fatto che uno dei primi lavori di Hamilton dopo il conseguimento, nel 1782, della laurea in giurisprudenza, fu quello di consigliere di Robert Morris, capo della Banca del Nord America. In effetti Hamilton, l’anno precedente, aveva scritto a Morris una lettera in cui diceva:
Un debito nazionale, se non è eccessivo, sarà una benedizione nazionale.
Una “benedizione” per chi?
Nel 1791, dopo un anno di intenso dibattito, il Congresso approvò il progetto di legge di Hamilton e gli conferì uno statuto ventennale; la nuova banca si sarebbe chiamata First Bank of the United States (Prima Banca degli Stati Uniti), o BUS; così iniziò la Terza Guerra Bancaria Americana.
La sede centrale della Prima Banca degli Stati Uniti si trovava a Filadelfia. La banca fu autorizzata a stampare denaro e a concedere prestiti sulla base delle riserve frazionali, anche se l’ottanta per cento delle sue azioni era di proprietà di azionisti privati; il restante 20% sarebbe stato acquistato dal Governo degli Stati Uniti, ma la ragione non era quella di dare al governo una parte nella faccenda: si trattava di fornire il capitale iniziale dell’ottanta per cento agli altri possessori .
Così come per la Banca del Nord America e la Banca d’Inghilterra prima di allora, gli azionisti non pagarono mai l’ammontare complessivo delle loro azioni; il Governo degli Stati Uniti corrispose i suoi iniziali 2.000.000 di dollari in contanti e poi la banca, tramite l’antica magia del prestito sulla base delle riserve frazionali, concesse prestiti ai suoi investitori statutari in modo che essi potessero disporre dei rimanenti 8.000.000 di dollari di capitale necessari per questo investimento esente da rischi.
Come per la Banca d’Inghilterra, il nome della banca - la Banca degli Stati Uniti - fu scelto deliberatamente per occultare il fatto che era controllata da privati e, sempre come nel caso della Banca d’Inghilterra, i nomi degli investitori non furono mai resi noti.
La banca fu presentata al Congresso come un mezzo per garantire stabilità al sistema bancario e per eliminare l’inflazione. Cosa accadde? Nel corso dei primi cinque anni di attività, il Governo degli Stati Uniti prese a prestito dalla Prima Banca degli Stati Uniti 8,2 milioni di dollari; in quel periodo i prezzi lievitarono del 72%.
Jefferson, nuovo Segretario di Stato, assistette a tale evento con tristezza e frustrazione, incapace di fermarlo:
Vorrei che fosse possibile ottenere un singolo emendamento alla nostra Costituzione, che impedisse al governo federale di prendere denaro in prestito.
Il Presidente Adams denunciò l’emissione di banconote private come una frode a scapito del pubblico e, in questa ottica, era sostenuto da tutta l’opinione pubblica conservatrice del suo tempo. Perché continuare a dare in appalto a banche private, in cambio di nulla, una prerogativa del governo?
Milioni di americani oggi provano la stessa sensazione; essi osservano, frustrati, mentre il governo federale porta il contribuente americano nell’oblio - prendendo a prestito da ricchi e banche private quel denaro che il governo ha l’autorità e il dovere di emettere da sé, senza interessi.
Così, sebbene si chiamasse la Prima Banca degli Stati Uniti, non si trattava del primo tentativo di fondare una banca centrale di proprietà privata negli USA. Così come per le altre due, la Banca d’Inghilterra e la Banca del Nord America, il governo fornì il capitale per avviare questa banca privata e quindi i banchieri si prestarono l’un l’altro il denaro per acquistare le rimanenti azioni della banca stessa.
Si trattò di una truffa, pura e semplice - ed essi non sarebbero stati in grado di protrarla a lungo.

12. L’ASCESA AL POTERE DI NAPOLEONE IN FRANCIA
Ora dobbiamo ritornare in Europa per vedere come un singolo individuo fu in grado di manipolare l’intera economia britannica ottenendo le prime notizie della sconfitta finale di Napoleone.
Nel 1800 a Parigi la Banca di Francia era organizzata secondo schemi simili a quelli della Banca d’Inghilterra. Napoleone, però, decise che la Francia doveva liberarsi dei propri debiti; egli non si fidò mai della Banca di Francia, anche quando collocò alcuni dei suoi parenti nel consiglio direttivo.
Napoleone dichiarò che quando un governo dipende dai banchieri per ottenere del denaro, i banchieri - e non i rappresentanti del governo - detengono il controllo:
La mano che dà sta sopra quella che prende. Il denaro non ha patria; i finanzieri non hanno né decenza né patriottismo: il loro unico scopo è il guadagno.
Egli intuì chiaramente i pericoli ma non intravide le appropriate contromisure o soluzioni.
Tornando in America, l’aiuto inatteso stava per giungere. Nel 1800 Thomas Jefferson sconfisse di stretta misura John Adams nella corsa alla terza presidenza degli Stati Uniti e, nel 1803, Jefferson e Napoleone avevano stipulato un accordo, secondo il quale gli USA avrebbero pagato 3.000.000 di dollari in oro in cambio di un vasto territorio ad ovest del fiume Mississippi; l’acquisto della Louisiana.
Con quei tre milioni di dollari in oro, Napoleone mise velocemente in piedi un esercito e iniziò a scorrazzare in Europa, conquistando tutto ciò che trovava sul suo cammino. Tuttavia l’Inghilterra e la Banca d’Inghilterra si apprestarono in fretta ad opporglisi e finanziarono ogni nazione sul suo cammino, raccogliendo gli enormi profitti di guerra; la Prussia, l’Austria ed infine la Russia si indebitarono pesantemente nel futile tentativo di fermare Napoleone.
Quattro anni più tardi, mentre il grosso dell’esercito francese si trovava in Russia, il trentenne Nathan Rothschild - direttore dell’ufficio londinese della propria famiglia - si incaricò personalmente di un ardito piano per contrabbandare una spedizione assai necessaria di oro proprio attraverso la Francia, il cui scopo era finanziare un attacco dalla Spagna da parte del britannico Duca di Wellington.
Nathan in seguito nel corso di una cena con amici si vantò del fatto che quello era il migliore affare che avesse mai fatto. Egli guadagnò denaro per ogni fase della spedizione; non sapeva ancora che nel prossimo futuro avrebbe fatto di meglio.
Gli attacchi di Wellington da sud ed altre sconfitte alla fine costrinsero Napoleone ad abdicare; Luigi XVIII fu incoronato Re e Napoleone esiliato nell’isola d’Elba, presumibilmente per sempre.

13. LA FINE DELLA PRIMA BANCA DEGLI STATI UNITI E LA GUERRA DEL 1812
Mentre Napoleone si trovava in esilio, temporaneamente sconfitto dall’Inghilterra con l’aiuto finanziario dei Rothschild, anche l’America stava cercando di liberarsi della propria banca centrale.
Nel 1811 fu presentato al Congresso un progetto di legge per rinnovare lo statuto della Banca degli Stati Uniti; il dibattito divenne incandescente ed entrambi i corpi legislativi della Pennsylvania e della Virginia avanzarono delle mozioni che richiedevano al Congresso di porre fine alla vita della banca.
Gli uffici stampa dell’epoca attaccarono apertamente la banca, definendola “una grande truffa”, un “avvoltoio”, una “vipera” e un “cobra”; ah, se avessimo di nuovo una stampa indipendente in America!
Un congressista di nome P. B. Porter attaccò la banca dal pavimento del Congresso, avvertendo profeticamente che, se lo statuto della banca fosse stato rinnovato, il Congresso “avrà allevato nel seno di questa Costituzione una vipera che un giorno o l’altro colpirà al cuore le libertà di questa nazione”.
Le prospettive per la banca non erano delle più rosee. Alcuni scrittori hanno affermato che Nathan Rothschild avvertì che se lo statuto della banca non fosse stato rinnovato, gli Stati Uniti si sarebbero trovati coinvolti in una guerra tra le più disastrose; questo però non fu sufficiente.
Una volta che il fumo si era disperso, il progetto di rinnovamento fu sconfitto alla Camera da un solo voto e si arrestò al Senato.
All’epoca alla Casa Bianca c’era James Madison, quarto Presidente degli Stati Uniti, il quale - ricorderete - era un convinto avversario della banca. Il suo Vice Presidente, George Clinton, ruppe un legame in Senato e consegnò la Prima Banca degli Stati Uniti - la seconda banca centrale di proprietà privata in territorio americano - all’oblio. Così la Terza Guerra Bancaria Americana, durata vent’anni, si concluse con la sconfitta dei Cambiavalute.
Nel giro di cinque mesi, così come si dice avesse predicato Rothschild, L’Inghilterra attaccò gli Stati Uniti ed iniziò la guerra del 1812 la quale, essendo gli Inglesi ancora impegnati a combattere Napoleone, terminò nel 1814 senza vincitori né vinti.
Risulta interessante notare che, nel corso di questa guerra, la Tesoreria degli USA stampò una certa quantità di valuta cartacea governativa per finanziare lo sforzo bellico - evento che non si sarebbe più ripetuto fino alla Guerra Civile.
Sebbene i Cambiavalute fossero temporaneamente sconfitti, non stavano comunque con le mani in mano; sarebbero bastati loro soltanto altri due anni per presentare una quarta banca centrale privata, più grande e più forte di quella precedente.

14. 1815: LA BATTAGLIA DI WATERLOO
Torniamo ora per un momento a Napoleone. Questo episodio dimostra appropriatamente la furbizia della famiglia Rothschild nell’acquisizione del controllo del mercato azionario inglese dopo Waterloo.
Nel 1815, un anno dopo la fine della guerra del 1812, Napoleone fuggì dal proprio esilio e ritornò a Parigi. Delle truppe francesi furono inviate a catturarlo, ma il suo carisma era tale che i soldati accorsero in aiuto del loro vecchio comandante e lo acclamarono di nuovo come loro Imperatore; Napoleone tornò a Parigi come un eroe. Re Luigi scappò in esilio e Napoleone ascese nuovamente al trono di Francia – stavolta senza che venisse sparato nemmeno un colpo.
Nel marzo del 1815, Napoleone mise in piedi un esercito che l’inglese Duca di Wellington sconfisse meno di 90 giorni più tardi a Waterloo. Egli prese a prestito cinque milioni di sterline dalla banca Ouvard di Parigi per riarmare le truppe; nondimeno, da allora in avanti, non fu più inusuale che banche centrali a controllo privato in una guerra finanziassero entrambi i contendenti.
Perché una banca centrale in una guerra dovrebbe finanziare i fronti opposti? Perché la guerra è il più grande generatore di debiti in assoluto. Una nazione per vincere prenderà a prestito qualsiasi somma. Al perdente finale viene prestato solo quel tanto sufficiente a conservare una vaga speranza di vittoria, mentre al vincitore finale viene dato quanto basta a vincere. Oltre a ciò, i prestiti di questo tipo vengono normalmente concessi con la garanzia che il vincitore onorerà i debiti dello sconfitto; solo i banchieri non possono perdere.
Il luogo della battaglia di Waterloo si trova a circa 200 miglia a nordest di Parigi, nell’attuale Belgio; lì Napoleone subì la sua ultima sconfitta, tuttavia non prima che migliaia di francesi e inglesi perdessero le proprie vite in un umido mattino del giugno del 1815.
Quel giorno, il 18 giugno, 74.000 soldati francesi si scontrarono con 67.000 soldati britannici e di altre nazioni europee; l’esito era sicuramente incerto e, in effetti, se Napoleone avesse attaccato qualche ora prima, probabilmente avrebbe vinto la battaglia.
Tuttavia, indipendentemente da chi fossero i vincitori e i perdenti, Nathan Rothschild di ritorno a Londra utilizzò l’opportunità di acquisire il controllo del mercato azionario britannico; i Rothschild contestano aspramente il resoconto che segue.
Rothschild piazzò sul lato nord del campo di battaglia, vicino alla Manica, un agente fidato, tale Rothworth. Una volta che l’esito della battaglia fu deciso, Rothworth si diresse verso la Manica e diede a Nathan Rothschild le notizie fresche ventiquattr’ore prima del corriere personale di Wellington.
Rothschild si recò velocemente alla Borsa e occupò il suo posto usuale di fronte a un’antica colonna; tutti gli occhi erano su di lui. I Rothschild disponevano di una leggendaria rete di comunicazione. Se Wellington era stato sconfitto e Napoleone di nuovo in giro per il continente, la situazione finanziaria britannica avrebbe preso certamente una pessima piega. Rothschild appariva affranto, se ne stava immobile, gli occhi rivolti a terra. Poi, improvvisamente, iniziò a vendere.
Gli altri nervosi investitori videro che Rothschild stava vendendo; questo poteva significare solo una cosa: Napoleone doveva aver vinto e Wellington doveva essere stato sconfitto. La Borsa andò a picco. Ben presto tutti si trovarono a vendere i propri titoli consolidati - obbligazioni del governo inglese ed altre azioni - e i prezzi calarono. Poi Rothschild ed i suoi alleati finanziari iniziarono segretamente a comprare tramite i propri agenti.
Pensate che si tratti di un mito, di una leggenda? Un centinaio di anni dopo, il New York Times riportò la notizia secondo cui il nipote di Nathan Rothschild aveva tentato di procurarsi la sentenza di una corte per eliminare un libro contenente questa vicenda della Borsa; la famiglia Rothschild dichiarò che questa storia era falsa e diffamatoria, tuttavia la corte respinse la richiesta dei Rothschild ed ingiunse alla famiglia di pagare tutte le spese processuali.
Quello che risulta ancora più interessante di tutta questa faccenda, è che alcuni autori affermano che il giorno dopo la battaglia di Waterloo, nel giro di poche ore, Nathan Rothschild ed i suoi alleati finanziari acquisirono il dominio non solo del mercato azionario ma anche della Banca d’Inghilterra. (Una caratteristica interessante di alcuni titoli consolidati era che potevano essere convertiti in azioni della Banca d’Inghilterra)
L’apparentamento con i Montefiore, i Cohen e i Goldsmith - dinastie bancarie stabilitesi in Inghilterra un secolo prima dei Rothschild - aumentò il controllo finanziario dei Rothschild; tale controllo venne ulteriormente consolidato tramite l’approvazione del Peel’s Bank Charter Act del 1844.
Che la famiglia Rothschild e relativi alleati finanziari abbiano acquisito o meno il completo controllo della Banca d’Inghilterra (la prima e più ricca banca centrale di proprietà privata in una importante nazione europea) in questo modo, una cosa è certa: verso la metà del 1800 i Rothschild erano la famiglia più ricca del mondo, nessuno eccettuato. Essi dominavano i mercati delle nuove obbligazioni statali e aprirono filiali presso altre banche e imprese industriali in tutto il mondo; inoltre dominavano una costellazione di famiglie secondarie meno influenti, come i Warburg e gli Schiff, che accomunarono la loro vasta ricchezza a quella dei Rothschild.
Infatti la seconda metà del 19mo secolo fu nota col nome di “Era di Rothschild”. Lo scrittore Ignatius Balla stimò che la loro ricchezza personale nel 1913 ammontasse ad oltre due miliardi di dollari. Ricordate che il potere d’acquisto del dollaro era maggiore di più del 1.000 per cento rispetto ad oggi. Nonostante questa schiacciante ricchezza, la famiglia in genere ha coltivato un’aura di invisibilità e sebbene essa controlli gli introiti di società bancarie, industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una manciata di esse porta il loro nome. Alla fine del 19mo secolo un esperto stimò che la famiglia Rothschild controllasse la metà della ricchezza mondiale.
Qualunque sia l’entità della loro vasta ricchezza, è ragionevole presumere che la loro percentuale della ricchezza mondiale da allora sia aumentata spettacolarmente, poiché il potere persegue il potere ed il desiderio di esso.
Tuttavia con l’arrivo di questo secolo, i Rothschild hanno attentamente coltivato la nozione che il loro potere sia in qualche modo diminuito, anche se la loro ricchezza e quella dei loro alleati finanziari aumenta in concomitanza con il loro controllo di banche, società indebitate, media, politici e nazioni, il tutto tramite delegati, agenti, candidati e consigli di amministrazione interconnessi, che mantengono il loro ruolo nell’ombra.


Note sull’Autore:
Patrick S. J. Carmack, BBA, JD, si è occupato di diritto societario ed è un ex Giudice Amministrativo della Corporation Commission dello Stato dell’Oklahoma così come membro del tribunale della Corte Suprema. Egli è coautore del video in due puntate The Money Masters: How International Bankers Gained Control of America.

Nota dell’Editore
Il presente articolo è stato tratto su licenza dal libro riveduto ed aggiornato del video The Money Masters: How International Bankers Gained Control of America, prodotto da Patrick S. J. Carmack per la Royalty Production Company, Colorado, USA, © 1998.
La lista dei testi che accompagna questo articolo si può trovare presso il sito web .
Il libro e il video di Money Masters sono disponibili presso: Royalty Production Company, 5149 Picket Drive, Colorado Springs, CO 80907, USA, tel (719) 520 7264, fax (719) 599 4587, www.themoneymasters.com.