lunedì, luglio 11, 2005

Cancelliamo il bluff




























Per 14 paesi africani e 4 dell’America centro-meridionale è stato annullato un debito di 40 miliardi di dollari. Di certo non sono pochi, ma allora perché c’è chi grida al bluff? Perché gli unici ad essere soddisfatti sono i ministri delle finanze dei paesi più ricchi ed industrializzati del mondo? Le Ong, la
Roppa (rete che riunisce gli agricoltori di 10 paesi dell’Africa occidentale), il Presidente della Commissione europea Barroso, ministri e presidenti africani dicono che si sarebbe potuto fare di più, si sarebbe dovuto fare di più. E al coro degli insoddisfatti si aggiungono il presidente dell’Istituto di ricerche economiche di Amburgo Thomas Straubhara e addirittura Nicky Oppenheimer, il magnate capo della De Beers, multinazionale leader nel commercio dei diamanti.

Il debito. Secondo uno studio di un’associazione di Missionari d’Africa, il debito dei paesi Africani nasce all’inizio degli anni Settanta, per poi aumentare durante gli anni Ottanta a causa delle importazioni dei prodotti petroliferi e della concorrenza a prezzi stracciati delle materie prime agricole dei paesi industrializzati. Le casse dei governi africani si ritrovano improvvisamente vuote. Da qui l’esigenza di chiedere prestiti alle agenzie multilaterali (la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale) o direttamente ai paesi del Nord del mondo e, soprattutto, rispettare le loro condizioni. A causa dei tassi di interesse e della severità nel rispettare le scadenze che le agenzie impongono, il debito aumenta anno dopo anno benché alcuni paesi non chiedano più alcun prestito. La Banca Mondiale dichiara che nel 2003 il debito estero dei paesi sub-sahariani ammontava a 231 miliardi di dollari, di cui 69 miliardi contratto con donatori multilaterali (BM e FMI) e i restanti 162 con donatori bilaterali (le singole Nazioni). Ad oggi l’Associazione delle Ong italiane calcola che il debito totale dei paesi poveri (40 in tutto) sia intorno ai 400 miliardi di dollari.

Solo 18 paesi su 40. I paesi che vedranno il loro debito multilaterale annullato sono solo 18, ai quali se ne aggiungeranno altri 9 nel giro di un anno e mezzo e poi, forse, altri 11. Questo solo nel caso in cui, anche questi ultimi, come precedentemente hanno fatto gli altri, riescano a soddisfare le condizioni richieste per ottenere l’annullamento. Per entrare nelle grazie dei paesi più ricchi non è sufficiente far parte dei “paesi poveri fortemente indebitati” (Heavily Indebted Poo Countries, HIPC) o avere il triste primato di un bambino morto ogni 3 secondi, ma bisogna soddisfare alcune “conditionalities”. Tra queste, combattere la corruzione, attuare politiche per la crescita economica, migliorare lo sviluppo del settore privato ed eliminare gli impedimenti agli investimenti privati, sia nazionali che esteri. L’Uganda, ad esempio, per poter ricevere i fondi della BM ha dovuto svendere gran parte delle aziende statali a privati, ricavando solo 2 dei 500 milioni di dollari previsti. La privatizzazione e la liberalizzazione dei flussi capitali sono stati una manna per le multinazionali occidentali, che hanno trovato così nuovi mercati da conquistare.

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Come intervenire? Sono anni ormai che i paesi africani chiedono agli Stati Uniti e all’Europa di interrompere le sovvenzioni a vantaggio dei prodotti agricoli occidentali. Queste sovvenzioni, circa 300 miliardi di dollari l’anno, hanno scombussolato l’equilibrio del mercato agricolo mondiale, abbassando di molto i prezzi dei prodotti occidentali. Alla fine degli anni settanta l’Africa copriva il 12% del commercio mondiale di materie agricole, oggi, dopo poco più di vent’anni, si è ridotta fino ad arrivare al 2,4%. Questo hanno chiesto i ministri del commercio africano in una riunione a metà giugno al Cairo. E a loro hanno fatto eco i contadini e gli agricoltori riuniti nella rete “Roppa”. Il 70% dei lavoratori africani lavora la terra, i prodotti da agricoltura familiare coprono buona parte del fabbisogno delle comunità locali, ma le esportazioni non reggono il confronto con i prezzi dei prodotti agricoli europei e statunitensi. Troppo bassi proprio per le sovvenzioni e i sussidi che all’oggi ancora ricevono.
La regolarizzazione del commercio è la chiave anche secono Nicky Oppenheimer, mentre il Presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso afferma l’importanza del libero scambio per tutti i prodotti dei paesi in via di sviluppo e una politica basata sulla riduzione delle tariffe per i prodotti agricoli.
La cancellazione del debito è un passo avanti, ma la strada per risolvere i problemi dei paesi in via di sviluppo è ancora troppo lunga per poter definire l’annullamento un “momento storico” (John Snow) o “un’intesa epocale” (Domenico Siniscalco).

da http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&ida=&idt=&idart=3169

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