La Banca d'Italia, «riserva della Repubblica»
Lettera al direttore del "Corriere della Sera" Sergio Romano, pubblicata sull'edizione on-line del giornale il 13 settembre 2005.-domanda del lettore-
Mi riferisco al suo fondo «Il pasticcio all'italiana» e leggo con meraviglia che la Relazione annuale di Fazio alla Banca d'Italia «era "un discorso della Corona" ascoltato religiosamente da tutti i baroni politici ed economici della Repubblica». E le relazioni annuali della Banca d'Italia di tutti gli altri Governatori, da Menichella a Carli, da Baffi a Ciampi, contenenti suggerimenti e linee di politica economica, non soltanto creditizia, da adottare, non erano al pari «discorsi della Corona»? Non fu il governatore Menichella che extra cathedra, nel 1957, in una riunione all'Abi approvò il Piano Vanoni?
Quanto a Guido Carli, fu proprio ignorato nei suoi innumerevoli pubblici interventi dai baroni politici d'allora? E ancora il governatore Ciampi non vedeva assistere alle sue Relazioni annuali tutto il fior fiore politico economico e sindacale d'Italia, quando indicava e suggeriva temi di politica economica da adottare?
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-risposta del Direttore-
Caro De Angelis, le sue osservazioni sono giuste. Nel panorama delle banche centrali europee il governatore di Via Nazionale fu sempre, soprattutto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un personaggio anomalo, una specie di consigliere straordinario del governo con rango quasi ministeriale a cui era permesso esprimere giudizi sulla situazione economica nazionale e a cui venivano conferiti talvolta incarichi speciali. Lei ha giustamente ricordato il placet di Donato Menichella al piano Vanoni per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito nel periodo 1955-1964. Ma avrebbe potuto ricordare altresì che agli inizi del 1950, quando era governatore da meno di due anni, Menichella concepì il progetto della Cassa del Mezzogiorno e scrisse la legge che la istituì. Questo stile venne inaugurato da Luigi Einaudi (che fu per un breve periodo, contemporaneamente, governatore e ministro del Bilancio) e passò in eredità ai suoi successori. In un breve testo del 1988 pubblicato da Libri Scheiwiller («Memorie del Governatore») Guido Carli scrisse che questa anomalia era stata osservata anche da molti banchieri stranieri. Il presidente del Fondo monetario internazionale Per Jacobbson gli disse un giorno: «In tutti i Paesi le banche centrali lottano per conquistare la propria indipendenza dai governi, in Italia il governo lotta per conquistare la propria indipendenza dalla Banca centrale». Esiste una spiegazione, naturalmente. Dopo la caduta del fascismo e il ritorno alla democrazia parlamentare l'Italia fu governata da qualche vecchio esponente della classe politica prefascista e da uomini che avevano passato gli anni del regime all'estero o in qualche «santuario» come l'ufficio studi della Banca Commerciale: persone spesso colte, intelligenti e coraggiose, ma arrugginite o inesperte e bisognose di collaboratori competenti, soprattutto in materia di moneta e finanza. La Banca d'Italia, sotto la direzione di Einaudi, svolse egregiamente questa funzione e divenne più tardi, in un Paese afflitto da cronica instabilità politica, una roccia di serietà e continuità. Ne avemmo la controprova constatando che l'istituzione di Via Nazionale era, per la direzione politica del Paese, una «riserva della Repubblica». Einaudi divenne ministro del Bilancio e capo dello Stato. Guido Carli fu ministro del Tesoro negli ultimi governi Andreotti e firmò il trattato di Maastricht. Lamberto Dini fu ministro del Tesoro nel governo Berlusconi del 1994, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri dopo la vittoria del centrosinistra nelle elezioni del 1996. Carlo Azeglio Ciampi fu presidente del Consiglio e ministro del Tesoro, ed è ora presidente della Repubblica. In quale altra democrazia la Banca centrale ha fornito al Paese, nell'arco di cinquant'anni, due capi dello Stato? Ma i governatori, nonostante il loro grande prestigio, furono sempre impeccabilmente sobri, schivi, poco inclini alle prediche pubbliche. Menichella si dimise nel 1960, all'età di 64 anni. Guido Carli se ne andò il 19 agosto 1975 dopo «una giornata come tutte le altre» e uno scambio di auguri con il suo successore nel salone dorato di palazzo Koch. Paolo Baffi fu colpito da assurde accuse e si dimise per evitare che un'indagine giudiziaria sull'opera del governatore nuocesse al prestigio della istituzione. Non le sembra, caro De Angelis, che fra il passato e il presente vi sia una certa differenza?
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